Pensare emozioni

Il moltiplicarsi di proposte -e di figure professionali – nell’area della “salute e del benessere” mi fa avvertire in modo sempre più stringente la necessità di provare a raccontare qualcosa della specificità della funzione psicologica, e della psicoterapia ad orientamento psicodinamico in particolare.

Non a caso, è un tema sul quale periodicamente ritorno qui su Lo Spazio Vago, perché molto meno autoevidente di quanto potrebbe sembrare, se si tenta di andare oltre le definizioni che poco raccontano davvero.

Non si tratta, a mio avviso, di circoscrivere ambiti, piantando difensivamente bandierine, come se fosse realmente possibile, quando si è implicati in una relazione d’aiuto, arrivare fino ad un certo punto, e poi non oltrepassare un certo limite…
Come se, le questioni alla base della domanda delle persone che ci contattano, potessero essere a priori catalogate sulla base di loro caratteristiche intrinseche… livelli di “gravità”?

Una delle lezioni più preziose che mi porto dentro del mio professore di psicologia clinica -Renzo Carli- è la lezione sul rapporto tra senso comune e funzione clinica.
È qui che ritrovo l’essenza della funzione psicologica.

Il senso comune ha la funzione di prescrivere le emozioni “corrette” nell’ambito dei diversi eventi dell’esperienza, all’interno di una specifica cultura di appartenenza.


Il senso comune parla la lingua del “si dovrebbe”; la lingua dei consigli -buoni o cattivi che siano- dei sermoni, dei giudizi.
La lingua che ciascuno di noi si ritrova prima o poi a parlare nelle vesti di amico, genitore, zia, superiore, insegnante… e l’elenco potrebbe allungarsi ulteriormente.

Quello che ho capito in un’aula affollatissima di San Lorenzo oramai tanti anni fa -ma che ho impiegato anni per nutrire di un senso che divenisse realmente mio- è che quando la funzione psicologica parla la lingua del “si dovrebbe”… semplicemente smette di essere tale, e diviene senso comune.

Ciò che invece ho realizzato nella pratica clinica, è che -specialmente nei momenti più problematici e frustranti- la tentazione del “si dovrebbe” (o del non si dovrebbe) si affaccia anche in noi terapeuti, segnalando tutta la difficoltà del “non agire”, non prescrivere, ma “semplicemente” continuare a stare e a pensare le emozioni che accadono nel qui ed ora dell’incontro.

Perché è questo che la funzione clinica propone: uno spazio dove imparare a stare, accogliere, riconoscere e pensare le emozioni che i nostri pazienti ci portano, e le emozioni che a nostra volta proviamo. 

Accogliere e stare con questo materiale emozionale si configura come un passaggio imprescindibile per contattare la propria autenticità. La verità delle proprie emozioni. 

È necessariamente da qui che dobbiamo passare per poter rendere questa materia pensabile e, quindi, analizzabile. 

Entro lo spazio clinico pensiamo emozioni e proviamo -assieme- a delineare traiettorie inedite che aprano alla possibilità di stare dentro la propria vita e le proprie relazioni in modi più consapevoli e salutari. 


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