Il suono della montagna

Nella lettera di maggio vi segnalavo “Il suono della montagna”, di Yasunari Kawabata, il primo autore giapponese insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1968. Un libro che ho amato e letto proprio nel mese di maggio…

Questo romanzo è uscito a puntate tra il 1949 e il 1954 ed è considerato il capolavoro di Kawabata, assieme a “Il paese delle nevi”.

Il fascino che alcune dimensioni della cultura giapponese esercitano su di me, non hanno un fondamento razionale, ma emotivo. Impressionistico. Forse, proprio come accade nell’innamoramento, quando il sentire precede le ragioni della razionalità. 

Forse affonda le sue radici nelle atmosfere dei cartoni animati che vedevo da bambina; nei fiori di ciliegio della passeggiata del Giappone al Laghetto dell’Eur, che mi commuovevano prima di conoscere il loro nome; nell’oro d’autunno delle foglie del gingko; nella molteplicità di simboli dipinti o incisi sulle bambole kokeshi che colleziono. Simboli che sempre rimandano alle stagioni o ad elementi della natura. 

Il sinologo francese Francois Jullien, definisce la “parola orientale” una parola che evoca, che indica, dicendo senza dire, ma questa è un’altra storia… 

Questo modo d’intendere la parola, l’ho ritrovato appieno ne “Il suono della montagna”.  Il romanzo  racconta le vicende di Shingo, ultrasessantenne dallo sguardo sensibile, sempre sospeso tra la malinconia e l’inquietudine, e del suo gruppo di congiunti, realizzando apparentemente una cronaca familiare che si dispiega nel corso di poco più di un anno. Ma il livello narrativo della trama davvero “poco dice” dell’essenza e della preziosità di questo libro. 

Un’essenza che, a mio avviso, va ricercata su di un piano più profondo e sottile, responsabile dell’atmosfera che si respira tra queste pagine. 

Il costante riferimento ad elementi della natura; la descrizione delle sue trasformazioni -nel susseguirsi delle stagioni- non si configura  come scelta formale, stilistica, ma rimanda all’idea di una connessione profonda con una dimensione che appare materica e spirituale al contempo. Il paesaggio -per dirla in altri termini- non è mero sfondo, ma dimensione in cui Shingo si rispecchia e si ritrova, risuonando con essa. 

La lettura de Il suono della montagna mi ha restituito delle sensazioni contrastanti: da un lato un senso di lontananza, dall’altro -man mano che accettavo di arrendermi a questo ritmo lento e onirico- l’emergere di quel sentimento di vicinanza che si respira quando ci si lascia toccare e coinvolgere.
Mi sono ritrovata anch’io, allora, davanti all’acero bonsai e ho visto le sue foglie scarlatte brillare nella malinconia di novembre… 

Leggetelo, se avete desiderio di incontrare uno sguardo poetico e contemplativo sul reale, senza timore di rallentare il passo, e provare a re-stare.


Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...