La prima ad avermi parlato davvero di respiro è la poetessa Chandra Livia Candiani. Allora -attraverso la sua voce- il respiro lo pensavo. Cercavo -forse- di capirlo, non accorgendomi di (re)stare in apnea. Poi è arrivato il laboratorio di teatro di Emiliano e la scoperta -tutt’altro che scontata- che non può esserci voce senza respiro. Il corpo come cassa di risonanza che, quanto più si permette di mollare, ammorbidirsi, tanto più è in grado di vibrare, facendo uscire la voce, come acqua che scorre libera. Ricordo la grande fatica legata alla comprensione della respirazione diaframmatica: espandersi, gonfiare l’addome nell’inspirazione e, al contrario, svuotare tutto e spingere indietro l’ombelico nell’espirazione. Ripetermelo ogni volta, quasi a dover invertire la rotta, sospendendo un automatismo che mi vedeva fare l’esatto contrario.
Forse, alle volte, dobbiamo imparare a respirare di nuovo.
Ricordo la vertigine di lasciar andare la voce, mollando le spalle, mentre il cuore inizia ad aprirsi. Liberare la voce, o almeno iniziare…
Io… che per molto tempo ho sognato cani che mi azzannavano alla gola e che, oggi, ho un bassotto che è un figlio di pelo. Io, che a lungo ho cantato solo nella mia testa…
E poi, gli esercizi di respirazione, le vocalizzazioni. La paura, ogni volta, di aver esagerato, con Emiliano che, quasi leggendomi nel pensiero, puntualmente mi restituisce che, no, il limite è ancora lontano… di più… di più!! E’ stato allora che lo spazio interno ha smesso di essere per me un concetto simbolico, ma è divenuto qualcosa di reale. Posso sentirlo -ora- questo spazio. Sentirlo nel corpo. Espanderlo, contrarlo, o, semplicemente, interrogarlo.
La scorsa primavera, dentro la chiusura del lockdown, ho aperto una porta e lo Yoga è entrato nella mia vita. Un gesto e un respiro alla volta, accompagnati da parole dal suono lontano e antico. Sono tornata nel respiro, ed ho capito che tutto torna… anche se non torna. Non ci sono cerchi da chiudere -per fortuna- né tessere di un puzzle che combaciano, a de-finire un senso. Piuttosto, una costellazione di elementi che si richiamano ed illuminano reciprocamente, disegnando moltitudini, tracciando prospettive…
Nel respiro mi ritrovo per poi riperdermi, sentendo però di poter sempre tornare. Nel respiro la mia solitudine preziosa si accorda e risuona con l’universo. Sola, eppure mai così tanto assieme a tutto il resto.
Dedico questi pensieri a due persone (e a due spazi) che tanto mi stanno insegnando ed ispirando, anche perché, senza di loro, queste riflessioni semplicemente non potrebbero esserci. Grazie a Celeste e al suo Spazio Celeste per la sua presenza così luminosa: è proprio vero che il destino (è) nel nome e grazie ad Emiliano e al suo Slowly Sat Teathre, lui sa perché…
Dove ti sei perduta
da quale dove non torni,
assediata
bruci senza origine.
Questo fuoco
deve trovare le sue parole
pronunciare condizioni
di smarrimento dire:
«Sei l’unica me che ho
torna a casa».
Chandra Livia Candiani